HR Revolution: dai baby boomers alla z generation

di Angelo Agostino BARDANZELLU

Come sono cambiate le Risorse Umane negli ultimi 50 anni?  

Quali sono le principali interazioni sociali e culturali tra le generazioni nel corso di questo arco temporale?

Quali sono le prospettive verso le quali stiamo riorganizzando le nostre attività produttive?

Partiamo da un’analisi generazionale che ci da un’idea di massima di quali siano le principali differenze tra i cosiddetti Baby Boomer (1945-1960), la Generazione X (1961-1980), la Generazione Y (1981-1995) aka Millennials e la Generazione Z (1995 - 2012) 


La generazione dei baby boomer è quella che ha vissuto il vero e proprio boom economico e demografico, le rivoluzioni, le lotte femministe. Persone impegnate politicamente e civilmente, cresciute in un periodo di trasformazioni radicali della vita sociale, hanno un focus particolare sulle lotte per i diritti delle persone. Nella vita sociale sono ancora quelli delle riunioni, del rapporto personale diretto e meno tecnologico. Usano principalmente solo Facebook nel loro approccio social ma lo guardano con sospetto e sono perlopiù degli osservatori. Assenti quasi totalmente da social quali Instagram o Snapchat, sono persone molto determinate e prediligono certamente delle trattative dirette anzichè i passaggi sui media o sulle piattaforme online. Hanno un buon potere di acquisto e lo esercitano sui beni durevoli o sullo svago personale; ecco perché sono i più ricercati per trattattive di vendita.

La generazione x è quella più social di tutte. Sono le persone che hanno aperto la strada a tutte le generazioni successive, anche ai cosiddetti nativi digitali: sono considerati i pionieri delle rivoluzioni tecnologiche. Molto pratici nel loro approccio con la tecnologia, sono figli di un’epoca decisamente consumistica, segnata da eventi che hanno modificato il loro modo di vivere e di approcciarsi con gli altri. Hanno adeguato il loro stile di vita alle trasformazioni in atto e comunicano normalmente con mail ed sms (ora con WhatsApp).

La generazione y, i cosiddetti Millennials, è la più discussa del momento.
La caratteristica più importante dei Millennials è il rapporto privilegiato con la tecnologia contemporanea. Questa generazione è cresciuta con i personal computer, ne ha seguito i progressi fino all'avvento di internet e dei cellulari. 
Per la prima volta, proprio grazie all'accesso privilegiato al mondo dell'informazione online, i Millennials si sono lasciati alle spalle il mondo televisivo, privilegiando la rete e ora i social network. Il principale strumento di fruizione è lo smartphone. I social media sono il loro palcoscenico. Per lo stesso motivo i Millennials fanno acquisti online, confrontando i prezzi dei prodotti e informandosi sulla loro efficacia grazie ai feedback in rete. 
Lo stretto rapporto con la tecnologia ha portato a una minore propensione alla coltivazione di rapporti personali di successo, con una conseguente crisi dell'istituzione della coppia e del matrimonio. 
Comunicano attraverso i social network, condividendo contenuti di valore (fotografie e video), taggando altre persone, alla ricerca spasmodica di like, commenti, reaction. Credono fermamente nella sharing economy, non si arrendono alla precarietà lavorativa, ma cercano nuove opportunità all’estero o diventano imprenditori di startup dal cuore digitale. 

La generazione z è quella nata in piena crisi economica e in un periodo di evoluzione tecnologica mai visto in precedenza. Sono i giovani (centennials) sempre connessi, quelli nati multimediali. Il loro mondo prediletto è quello di Youtube ma anche di Instagram, Snapchat e tutte le varie piattaforme musicali. La loro comunicazione si svolge prevalentemente per immagini, interagiscono costantemente e lasciano sempre feedback. Sono i clienti del futuro, sui quali stanno puntando gli occhi molte aziende.

Ma come approcciano al lavoro le nuove generazioni?
E che rapporto hanno con i Baby Boomers?

Analizzeremo alcune differenze in tal senso e alcuni casi pratici in ambito risorse umane.

Partiamo proprio dalla generazione più discussa e chiacchierata degli ultimi anni, i millennials.

Come si approcciano al mondo del lavoro? cosa chiedono alle aziende? Nei numerosi colloqui effettuati per la selezione del personale, ho notato, nella maggior parte dei casi, che questi ragazzi chiedono sempre più sicurezze. Vogliono un piano di carriera chiaro e ben definito, vogliono sapere cosa si prospetterà loro professionalmente per il futuro. Non chiedono piani di crescita a lunga scadenza, ma, comunque, almeno per i primi 3 o 4 anni. Vogliono delle piccole sicurezze lavorative, in modo da assorbirle e possibilmente condividerle. Non accettano più delle proposte nelle quali non vi siano dei progetti per loro in azienda e fanno molte domande in tal senso.

Anche per quel che concerne il loro piano di crescita professionale hanno delle particolari attenzioni: la formazione e l'apprendimento continuo rappresentano per loro un fattore di scelta determinante. I millennials scelgono, in buona parte dei casi, aziende che intendano investire sulla loro crescita professionale e non soltanto nella prima fase lavorativa. In sostanza, per tutta la loro permanenza in azienda. Prediligono le aziende che hanno un vero e proprio programma di talent development.

Anche per la qualità lavorativa e della vita i millennials fanno delle scelte molto mirate. Per loro, riuscire ad avere un tenore di vita soddisfacente, che permetta di mantenere i propri interessi personali, è un fattore fondamentale di scelta lavorativa. Un scelta che non è esclusivamente legata agli orari di lavoro, ma sempre più spesso riguarda la possibilità di avere dei benefits personali come la palestra, l'asilo nido, le cure mediche o la possibilità di smart working.

Sembrerebbe, da questa breve analisi comportamentale in selezione, che per i millennials la parte retributiva non sia importante o non venga richiesta in fase di colloquio. In realtà, anche per loro, il compenso lavorativo è un fattore discriminante, ma molto meno degli altri fattori delineati in precedenza. I millennials sono quella generazione più votata ad avere delle sicurezze personali e professionali correlate con il loro percorso di carriera lavorativa e infine, la loro retribuzione.

Messi a confronto con i baby boomers (ma anche con i lavoratori delle altre generazioni), ho notato alcune differenze sostanziali, ma principalmente molti punti di contatto.

Per esempio, la flessibilità sul posto di lavoro è apprezzata dai lavoratori di tutte le età: a lavorare da remoto per più della metà della settimana è il 51% delle persone nate prima del 1964 e il 49% dei nati dopo il 1980. Lo smart working conquista quindi anche i Baby Boomers e non solo i Millennials. Le distanze tra Baby Boomers e Millennials sono diventate davvero minime e questo è il segno che il lavoro sta subendo una rivoluzione ormai riconosciuta e trasversale. In alcuni casi è diverso solo l’approccio al problema: per i Millennials lo smart working, per esempio, favorisce le interazioni mentre per i Baby Boomers migliora la produttività.

La rivoluzione tecnologica e digitale ha reso il lavoro “da remoto” un’opportunità alla portata di tutti. Si tratta di una vera e propria rivoluzione, che tocca non solo il modo di lavorare, ma anche come si vive lo spazio di lavoro. L’accezione classica di ufficio sta cambiando e sarà presto superata. Sempre più vi è una richiesta di spazi di lavoro flessibili, a patto, però, di non rinunciare al contatto umano e al confronto con colleghi e altri professionisti. La maggioranza dei Millennials pensa che gli spazi di lavoro ‘smart’ permettano di aggiornare di continuo le competenze perchè favoriscono le interazioni. Un po’ meno sono i baby boomers, che la pensano allo stesso modo in buona percentuale (40%). In generale, si può affermare che la flessibilità sul posto di lavoro piace, anche se per motivi variegati, a persone appartenenti a diverse generazioni: per i Baby Boomers migliora la produttività e favorisce la possibilità di nuovi business, mentre per i Millennials il vero potenziale è nella creatività. I più giovani vogliono un ambiente di lavoro stimolante più dei colleghi più anziani. Inoltre a essere convinta che la flessibilità sul posto di lavoro offra nuove opportunità aziendali e progettuali è la maggioranza dei nati dopo il 1980, ma anche una ampia percentuale di quelli nati prima del 1964.

I millennials sanno benissimo come trovare delle buone opportunità lavorative online (ormai è questa la corsia preferenziale per chi invia un curriculum), anche in tempo di crisi, ricercando su Google o su siti specializzati gli annunci di posizioni lavorative che possano loro interessare, come imparare dei nuovi mestieri facendo videocorsi in streaming, come fare formazione seguendo lezioni in e-learning o, addirittura, come essere assunti sostenendo un colloquio via WhatsApp o Skype. Con le tecnologie digitali si sono moltiplicate le tipologie lavorative, ne sono nate di nuove, che richiedono capacità diverse rispetto a quelle tradizionali e sono state stravolte quelle "vecchie". Chi non è nato digital ma ha dovuto adeguarsi giocoforza a tale sistema ha più difficoltà, mentre un millennials sa benissimo quali siano le opportunità digital del nuovo millennio e come guadagnare con vlog, blog, eshop, siti web e molto altro. Anche, però, all’interno dei nativi digitali vi sono delle differenze significative in base all’età e alla fruizione delle tecnologie digitali. Distinguiamo intanto tra: nativi digitali purissimi (tra 0 e 14 anni), puri (14 e 18 anni), nativi digitali ibridi (tra 18 e 25 anni).

I nativi digitali ibridi sono gli studenti universitari che, nonostante navighino molto in rete, continuano ad usare internet in modo un po’ più analogico ovvero il cosiddetto web 1.0.

I bambini tra zero e 14 anni sono i veri nativi digitali purissimi, coloro i quali hanno maturato un’esperienza diretta sempre più precoce con gli schermi interattivi digitali e con la navigazione in internet. I nativi digitali purissimi fanno uso del cosiddetto web 2.0.

 I nativi digitali di “ultima generazione” sono quelli che non vanno su internet, ma su YouTube, Facebook e Twitter, perché questi sono gli unici siti (sotto forma di app, ovviamente) che visitano, tanto da essere considerati sostituti, in tutto e per tutto, della rete. Non vedono il mondo del web come un'infrastruttura, come un mezzo che porta l'essere umano alla connessione globale.

Internet è per loro un "bisogno generazionale", fa parte di quelle esigenze quotidiane necessarie come qualunque altra attività vitale. Ciò, però, impedisce di conoscere in maniera veramente approfondita la vera realtà della rete e le sue logiche. Vedono i servizi commerciali esclusivamente come applicazioni belle graficamente, mandano pochissime mail e preferiscono WhatsApp e Messenger per comunicare anche informazioni o notizie importanti. Pretendono, allo stesso tempo, che tale uso diventi una pratica quotidiana corrente.

Rispetto al passato, la comprensione di come funzionino i dispositivi e le tecnologie di uso quotidiano sta avvenendo in modo minore o non sta avvenendo affatto. I nativi digitali crescono senza saper niente dello strumento che hanno a disposizione tra le mani e della sua storia. L'evoluzione della tecnologia in forme sempre più “user friendly” non permette loro di avere le possibilità che hanno avuto le generazioni precedenti, obbligate ad imparare, a trovare soluzioni per far funzionare e per migliorare qualunque realtà informatica e tecnologica. La tecnologia di oggi rende i nativi digitali semplici utenti. Quella che sta nascendo oggi è una generazione di falsi nativi digitali, senza alcuna competenza informatica.

La vera problematica che si sta venendo a creare ultimamente è proprio quella di pensare di trasformare un adolescente nativo digitale in un vero informatico comprandogli un tablet o uno smartphone. La crescita informatica delle nuove generazioni non va lasciata al caso e andrebbe maggiormente monitorata. Dovrebbero essere la scuola di base, l'università, le politiche dei governi, ma anche le famiglie stesse ad aggiornarsi e capire bene l'attualità in cui le nuove generazioni si muovono, a proporre un cambiamento di rotta, un utilizzo consapevole dei mezzi tecnologici basato non solo sulla mera partecipazione social e sulla condivisione di futilità.

Calando le diverse realtà generazionali nell’alveo più specifico delle risorse umane, notiamo come cambiamenti epocali tecnologici, sociali e culturali abbiano modificato e in molti casi stravolto il contesto di riferimento.

I “vecchi” Direttori del Personale sono ormai delle vere e proprio figure mitologiche presenti in pochissimi contesti. La figura stessa ha cambiato diverse nomeclature nel corso degli anni e, soprattutto, ha cambiato funzioni ed approccio lavorativo.

Ora si richiedono molte meno competenze psicologiche ma più competenze trasversali. Occorre saper dominare gli strumenti a supporto (analogici e digitali), occorre saper parlare un linguaggio diverso, più semplice e diretto, occorre saper gestire i tempi.

In quest’ultimo periodo ho preso maggiormente coscienza di una mutata interazione tra le parti. Non ci sono più timori reverenziali tra chi sceglie e chi dovrebbe essere scelto. La velocità è divenuta una variabile fondamentale e chi decide lo deve fare in fretta ed in maniera molto chiara.

Ora la norma, in un processo di selezione del personale, è quella di un incontro conoscitivo via web (ora siamo già all’intelligenza artificiale) tramite Skype o WhatsApp per entrare subito in sintonia con il candidato. Il processo è divenuto più snello ed efficace ed a supporto ci sono strumenti informatici che aiutano molto nell’iter decisionale.

Oggi, rispetto al passato, la prospettiva è, fortunatamente, cambiata: il digital può e deve supportare gli HR nei loro processi di sviluppo del personale, velocizzando il processo e rendendolo più economico.

Sostanzialmente, oggi il digitale comprende: l’utilizzo dei social per la selezione del personale, l’attingere a dei database su cloud o l’utilizzo di analytics, etc...

Grazie all’avvento e all’integrazione del digital nell’Hr è possibile:

· Gestire i colloqui di selezione e gestire il rapporto con il candidato tramite piattaforme digitali;

· Accorciare il processo di candidatura riducendolo ad un click attraverso smartphone o tablet;

· Formazione in e-learning per tutto il personale;

· Possibilità di condividere le decisioni anche con i propri collaboratori grazie al supporto di tecnologie “social”.

Queste tecnologie, in realtà, sono già presenti e vengono racchiuse sotto l’etichetta più generale “digital”. Il processo digitale ha già prodotto, ed ancora produrrà, incredibili opportunità per le HR. Tuttavia, queste stesse persone dovranno, però, essere in grado di reinventarsi e applicarsi all’innovazione. La vera sfida nelle risorse umane sta diventando, non più quella di attrarre i “talenti” per le aziende, ma quella di trattenerli in azienda e non farseli scappare.

Il leit motiv sarà quello di trovare le strade più adatte per rendere la vita in azienda la migliore possibile. E’ essenziale, perciò, sollevare i livelli di attrattiva aziendale e motivare in maniera efficace i propri collaboratori.

· I Millennials sono molto meno disposti (rispetto alle generazioni precedenti) a restare, meno predisposti a contratti a lunga scadenza e più flessibili;

· Sempre loro, i millennials, entrano più facilmente in collisione con il datore di lavoro, in quanto più determinati a sentirsi realizzati al 100% e a perseguire il proprio sviluppo professionale;

· Le donne entrano sempre più nel mercato del lavoro con esigenze di conciliazione casa – lavoro;

· Gli stessi uomini cominciano a chiedere conciliazione casa – lavoro.

Il ruolo futuro delle HR comporta, perciò, essere sempre aggiornati sulle nuove possibilità di sviluppo aziendale, essere in grado di governare tutte le dinamiche tra le risorse umane, conciliare nella miglior maniera possibile l’avvento del digitale in quasi tutti i processi aziendali.